Social, smartphone e i danni sui ragazzi: si sta finalmente aprendo il dibattito tra colpevolisti e innocentisti

Questa breve rassegna dell’attuale dibattito sui danni della tecnologia sui ragazzi verrà pubblicata sulla comunità Lemmy di @eticadigitale

IL WHISTLEBLOWING

Fino pochi mesi fa, il dibattito inerente gli effetti dello smartphone sulla salute mentale dei ragazzi rimaneva piuttosto sonnolento.

Ogni tanto poteva giungere notizia di qualche dipendente GAFAM che denunciava il proprio datore di lavoro di ignorare i segnali allarmanti (ultimo è il caso della psicologa danese Lotte Rubæk) che provenivano dall’utenza più giovane, ma in generale le accuse contro la tecnologia si rivelavano poco incisive, mentre le risposte da parte dei granti attori della tecnologia si limitavano a un no-comment, in base al principio per cui una smentita non sarebbe altro che “una notizia data due volte”.

L’ALLARME LANCIATO DAL DR. VIVEK MURTY

A metà marzo tuttavia ha avuto una certa eco l’articolo di Robert Booth, corrispondente per gli affari sociali di The Guardian che ha riportato le preoccupazioni del dr. Vivek Murthy, [url=https://en.wikipedia.org/wiki/Surgeon_General_of_the_United_States]“Chirurgo generale” degli Stati Uniti, ossia capo della sanità pubblica statunitense, [/url] il quale esorta i governi a regolamentare i social dal momento che uno studio mostra che l’uso dello schermo e l’isolamento hanno causato un malessere diffuso.

“per la prima volta da quando sono stati raccolti i primi dati nel 2012, i giovani tra i 15 e i 24 anni in Nord America affermano di essere meno felici delle generazioni più anziane”

Murthy ha lanciato un avvertimento formale a tutti gli Stati Uniti sul fatto che i social media presentano “un profondo rischio di danno” per la salute mentale e il benessere di bambini e adolescenti, in base a un principio di cautela.

“Non abbiamo ancora prove sufficienti per determinare se i social media siano sufficientemente sicuri” da poter essere utilizzati

MALESSERE GIOVANILE: UN PROBLEMA PER LA DEMOCRAZIA?

Pochi giorni dopo, Vanessa “Van” Badham, drammaturga, scrittrice e attivista australiana sempre sul Guardian ha messo in guardia genitori, insegnanti e autorità sull’impatto che questa infelicità potrebbe avere sugli equilibri democratici.

LA GENERAZIONE ANSIOSA: COME IL GRANDE RICABLAGGIO DELL’INFANZIA STA CAUSANDO UN’EPIDEMIA DI MALATTIE MENTALI

Il culmine di questa serie di accuse contro la tecnologia ha però coinciso con la pubblicazione dell’ultimo libro di Jonathan Haidt, The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness, che costituisce un vero e proprio atto d’accusa sul collasso della salute mentale dei giovani e allo stesso tempo una proposta per mitigare gli effetti della tecnologia invasiva e reimpostare un’infanzia più sana e più libera.

LA RECENSIONE DI NATURE

A questo punto si è scatenato il confronto critico verso le conclusioni di questi studi colpevolisti.

Ad aprire le danze è stata la rivista Nature che, a firma della dott.ssa Candice L. Odgers, professoressa di Scienze Psicologiche e Informatica per la School of Social Ecology e professoressa a contratto dell’Università della California, ha recensito il volume di Haidt accusandolo di scarsa accuratezza scientifica.
La tesi della prof.ssa Odgers è che il tempo passato davanti allo schermo non sia necessariamente responsabile dell’aumento dei livelli di depressione e ansia adolescenziale; d’altra parte la crescente isteria collettiva su questi argomenti potrebbe distrarre l’opinione pubblica e la scienza dall’affrontare le vere cause.

In sostanza:

  1. Haidt non avrebbe portato prove di causalità tra esposizione alla tecnologia e depressione
  2. la vera causa sarebbe, soprattutto rispetto all’area statunitense, “la discriminazione strutturale e il razzismo, il sessismo e l’abuso sessuale, l’epidemia di oppioidi, le difficoltà economiche e i problemi sociali”

Il “grande ricablaggio” sarebbe dunque un argomento fantoccio e questa tesi tranquillizzante è stata ripresa da diversi giornalisti in tutto il mondo per “riequilibrare” le prese di posizione recenti con una opportuna dose di innocentismo.

LA RISPOSTA DELL’AUTORE

Haidt ha risposto rapidamente sul blog di psicologia After Babel confutando le due obiezioni sollevate dalla prof.ssa Odgers, attraverso la rappresentazione di diversi dati a suffragio delle proprie argomentazioni e, d’altra parte, affermando che l’aumento di questo malessere non può essere dovuto alle cause alternative suggerite su Nature in quanto, pur impattando sul benessere dei ragazzi, erano preesistenti alla brusca accelerazione del fenomeno.

LA REALTÀ POLITICA E GIUDIZIARIA ENTRANO IN GIOCO

Contemporaneamente al botta e risposta tra i due studiosi, ecco che la cronaca politica e giudiziaria entra a gamba tesa sui dibattiti.
Dopo Utah, Arkansas, Louisiana, Ohio e Texas (e dopo la clamorosa causa intentata da New York ai colossi di Internet) e contemporaneamente alle iniziative di ROn de Santis in Florida, anche l’amministrazione cittadina di New York infatti vuole fare causa ai giganti dei social media, sostenendo che le loro pratiche commerciali possono avere un impatto nocivo sulla salute mentale dei giovani!
L’articolo di Angelo Alù su Agenda Digitale presenta un riepilogo interessante di tutta la vicenda, dalle accuse ai social media, alle iniziative di supporto intraprese dall’amministrazione cittadina e rimanda alla ingente documentazione presente nell’atto ufficiale presentato in tribunale dalla municipalità.

CONTRIBUTI INNOCENTISTI SU VALIGIA BLU

L’ultimo articolo degno di menzione, su un piano di totale innocentismo, è l’articolo comparso su Valigia Blu a firma di Tiziana Metitieri, psicologa che coordina le attività dell’ambulatorio di neuropsicologia clinica dell’ospedale pediatrico Meyer e che si è sempre opposta all’approccio proibizionista e cautelativo verso l’utilizzo della tecnologia da parte dei bambini.
Nel suo ultimo articolo, afferma sulla scorta degli studi citati che

“In tutti i paesi e per tutti i dati demografici, le persone che avevano accesso a Internet, accesso a uno smartphone o che utilizzavano attivamente Internet riportavano maggiori livelli di soddisfazione di vita, esperienze positive, senso di scopo e benessere fisico, comunitario e sociale, e livelli più bassi di esperienze negative”

CONCLUSIONI

Questo confronto tra orientamenti diversio e a volte diametralmente opposti può disorientare la pubblica opinione, ricordando molto il confronto che si è avuto per decenni sul fumo, un dibattito che ha visto la capacità del potere economico di “sopire troncare … troncare sopire” la verità scientifica.

Siamo decisamente convinti che il combinato di smartphone e social network costituisca un pericolo esistenziale per il futuro dei ragazzi, ma siamo anche certi che il dibattito che si è avuto fino a un anno fa non abbia ancora raggiunto la giusta maturità.

In questo senso è importantissimo che le parti avverse si confrontino presentando dati ed evidenze scientifiche sempre più convincenti.

Per quello che ci riguarda, crediamo anche che l’accesso alla tecnologia e ai social sia una grandissima opportunità per i ragazzi, ma che questo accesso debba essere mediato non tanto da limitazioni di carattere infrastrutturale (sistemi di controllo parentale, hardware limitato) ma dall’unica componente in grado di trasformare le informazioni in conoscenza, ossia la cultura. Nello specifico la cultura digitale che con saggezza e accortezza può essere trasmessa ai bambini fin dalla più tenera età, attraverso il ruolo fondamentale dei genitori in primo luogo e in seconda battuta della scuola.

  • Piero Bosio@soc.bosio.info
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    6 months ago

    @cybersecurity @eticadigitale

    Non ci credo che i social e le tecnologie connessse siano origine di malattie mentali. Certamente possono influenzare mode e comportamenti al pari di altri media. Secondo me disturbi e malattie mentali traggono origine da ben altre cause e traumi di tipo prevalentemente genetico, biologico, affettivo, familiare e in ultima analisi ambientale. Solo una politica corrotta può vedere nei social l’origine dei propri disturbi e delle proprie schizofrenie mentali.

    • cybersecurity@poliverso.orgOP
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      6 months ago

      @pierobosio il punto è capire se l’esposizione agli smartphone e alle app progettate per creare dipendenza comporta un aumento dei disturbi psicologici o dell’apprendimento o di socializzazione. Se questa correlazione viene dimostrata non vedo perché non si dovrebbe intervenire con vigore.

      • Piero Bosio@soc.bosio.info
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        6 months ago

        @cybersecurity

        Penso sia difficile arrivare ad una dimostrazione in quel senso, perché, secondo me, è già difficile definire una app social come una app che crea dipendenza. Il rischio di dipendenza psicologica è più facile che arrivi da app di videogiochi o di giochi d’azzardo. E poi è il mainstream che per vendere più psicofarmaci e controllare le tue emozioni ti vuole vedere comunque affetto da qualche disturbo, anche quando si gode di una perfetta salute mentale.

        • cybersecurity@poliverso.orgOP
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          6 months ago

          @pierobosio

          > Penso sia difficile arrivare ad una dimostrazione in quel senso, perché, secondo me, è già difficile definire una app social come una app che crea dipendenza

          la psicologia non è certo una vera scienza, ma nel tempo ha acquisito una serie di metodologie scientifiche basate su statistica ed epidemiologia che consentono di stabilire con una cerca confidenza se un fenomeno costituisce un fattore di dipendenza

          > il mainstream che per vendere più psicofarmaci e controllare le tue emozioni ti vuole vedere comunque affetto da qualche disturbo, anche quando si gode di una perfetta salute mentale

          Un problema reale, ma non qui in Europa e tantomeno in Italia